Antonio Zancanaro

Antonio Zancanaro - "Tono" - nasce a Padova l'8 aprile 1906. Nato tra la gente umile e laboriosa dei quartieri poveri della città, dove la sua famiglia aveva impiantato un'officina meccanica che vide lo stesso Tono, dopo il servizio di leva e una parentesi sportiva (che l'aveva visto noto calciatore, campione di marcia e campione d'Italia di hockei su prato) e infine un impiego in banca, lavorare insieme con il padre. Ma è a Firenze, a contatto, nel 1929, con i nipoti Renzo e Silvano Bussotti di precoci tendenze artistiche, e, più tardi, nel 1935, con l'incontro determinante con Ottone Rosai e la sua pittura - dal quale dichiarò d'aver ricevuto "la prima e unica, fondamentale, lezione sulla natura dell'arte” che la vocazione sotterranea di Tono per il disegno esplode in tutta la sua forza. La formazione di Tono non fu mai studio accademico ma intensa esperienza del vivere sociale, della gente, del popolo, del mondo. Giramondo curioso, Tono gira per le strade di Padova, Firenze, Roma, Sicilia, tra le risaie della bassa padana, a Parigi, in Russia, in Cina, dovunque cittadino del mondo. Incontra politici e intellettuali come Eugenio Curiel, - (eroe della Resistenza e dalla cui quasi frequentazione quotidiana trarrà l'ispirazione politica di tutta la sua vita e la rabbia antifascista che lo portò a concepire il grande ciclo satirico del "Gibbo") - incontra a Padova Meneghetti e Marchesi e, in seguito, stabilisce proficui contatti con Ernesto Treccani a Milano, con Guttuso a Roma, con Sciascia e l'editore Sellerio nei lunghi soggiorni siciliani; e poi ancora Parigi (che già gli aveva rivelato il Surrealismo, scoperto congeniale al suo mondo immaginario); e poi i grandi viaggi in Russia, Polonia, Germania orientale, Albania e infine Cina (nel 1956). Nel 1970 ottiene la cattedra di incisione all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, che conserverà fino al 1977. Tono produsse nella sua quotidiana fatica, che egli non dismise fino all'ultimo giorno, una folla multiforme di figu re e di opere (più tardi catalogate in oltre quindicimila) che non è ancora interamen te stata abbracciata nella ricchezza dei suoi valori umani e stilistici, se si eccettuano i lavori critici di Carlo Ludovico Rag gianti nel 1975. Negli ultimi anni arrivano i più importanti ricono sci menti quali la prima grande antologica al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1972, cui segue nel 1974 una seconda alla Civica Galleria d'Arte del Comune di Palermo. Nel 1978 anche il Comune di Padova gli dedica una antologica ospitata nel prestigioso Salone della Ragione e nel 1982 anche il Comune di Milano lo onora con una analoga rassegna nel Castello Sforzesco. Muore a Padova il 3 giugno 1985. Tono Zancanaro, sostiene Formaggio, è uno dei più grandi grafici di questo secolo, non solo nell'arte italiana ma nella vita artistica e culturale europea. Disegnatore esente da acrobazie intellettualistiche o forzosamente avanguardistiche, Tono ha seguito, senza confondersi con alcuno dei molteplici richiami che hanno movimentato il panorama artistico di questo tormentato secolo, un proprio originalissimo itinerario che lo portò a trar fuori vasti cicli mitologici prodotti da "... una autentica immaginazione creatrice donatrice di sensi inediti alla nostra storia e al nostro mondo". Entrato in possesso di una originale chiave di lettura del mondo, Tono ha prodotto numerosi e vasti cicli grafici dove si mitologizzano, ad esempio, i Carusi efebici siciliani, le Levane variamente mescolate in amore, l'amica Bruna, divenuta Brunalba e Brunanotte, fino alle chine bianche fiorite nelle illustrazioni della Divina Commedia, del 1964, o le Foscarine, dalle litografie Selinuntee degli anni settanta, per non dire dei cicli di pari intensità o dei tragici disegni dei partigiani impiccati o dei sorrisi cinesi dei fiori di loto. Le due opere donate al Museo testimoniano due temi fondamentali della produzione di Tono: l'amata Padova del Prato della Valle (In Prà, 1975) rivisitata dalla potente fantasia dell'artista e un'opera che fa parte del vasto ciclo del Gibbo (Gibbo, Il Gran Vallo, 1944) deformazione satirica di Mussolini e del fascismo, disegnate durante la guerra e che si ispira al Gibbon, figura del "tradimento" nel famoso film "Il Traditore" di John Ford trasformato patavinamente nel nome e tratteggiato nella figura del lottatore "Angelo", mascelluto e grosso come un bue, che si esibiva per le strade di Padova a torso nudo. Mito nutrito di intrecci surrealistici di forte impatto e dai complessi rinvii a situazioni ed eventi reali.

Antonio Zancanaro Web